Massimo Artusi, Presidente di Federauto ha espresso il suo parere in merito alle recenti decisioni della Commissione europea di introdurre tariffe doganali aggiuntive per le importazioni di autovetture elettriche di fabbricazione cinese.
Riportiamo il suo commento in merito:
"I dazi alle auto elettriche cinesi non sono una risposta efficace alla penetrazione dell’industria automobilistica di Pechino sui mercati europei soprattutto perché non avvantaggeranno i cittadini. Questi saranno costretti ad acquistare a prezzi più alti prodotti con i quali l’industria europea (che ha ancora scarsità di modelli e a costi elevati) per ora non riesce a competere, arricchendo le casse dei paesi importatori e incoraggiando il trasferimento della produzione di autoveicoli cinesi verso paesi dove i limiti burocratici e infrastrutturali sono inferiori a quelli italiani. Peraltro, l’effetto più rilevante dei dazi si avrà proprio in Cina, dove essi contribuiranno ad accelerare il consolidamento e il rafforzamento dei marchi cinesi, attivando un processo di successo-insuccesso e di accorpamento che porterà entro pochi anni ad avere sul mercato un minor numero di marchi automobilistici cinesi, ma con maggiore capacità di aggredire i mercati internazionali. In realtà la scelta dei dazi è l’ultima mela avvelenata di una reazione a catena innescata dalla scelta miope della trazione elettrica come unica tecnologia in grado di assicurare la sostenibilità, perché l’indirizzo imposto in suo favore, oltre a risultare poco incisivo sui target ambientali, non piace e non fa bene al mercato. Il primo segnale è arrivato quando ci si è resi conto che i numeri dell’immatricolato seguono un andamento incompatibile con gli obiettivi di legge, il che ha indotto molti costruttori a rivedere i piani di investimento. Eclatante per l’Italia, il rinvio dello sviluppo del battery plant di Termoli, con il trasferimento delle risorse allo sviluppo dei motori ibridi di ultima generazione. Successivamente, ci si è accorti che una normativa tutta basata sul calcolo delle emissioni al terminale di scarico (che ignora le emissioni precedenti e successive sul carbon footprint del prodotto e dei vettori energetici) serve a poco o nulla per decarbonizzare il sistema, rilanciando di fatto (e ci auguriamo presto anche normativamente) le virtù dei carburanti a zero impronta di carbonio, come l’HVO e i biocarburanti.
Adesso ci si accorge che l’opzione electric-only espone il mercato europeo all’invasione dei prodotti elettrici cinesi. Ed ecco quindi che si cerca di correre ai ripari con dazi aggiuntivi che non tengono conto degli investimenti già effettuati dai concessionari italiani (come ci dovremo comportare con le auto vendute in attesa di consegna? Cosa diremo ai nostri clienti che hanno ordinato a un prezzo ancora senza dazio?) per essere presenti tempestivamente con una tipologia di prodotto che la stessa Unione Europea sostiene fortemente in nome della lotta ai climalteranti, ma solo se proveniente dall'industria locale".
"Probabilmente", ha continuato Artusi, "la difesa del mercato europeo otterrebbe risultati più efficaci attraverso un riequilibrio del rapporto tra case e concessionari, il cui ruolo di raccordo fra costruttori e clienti è fondamentale per orientare la produzione verso i modelli di cui l’utilizzatore ha necessità e trae soddisfazione. È nei fatti che in questo momento i concessionari stiano assorbendo i costi di una transizione energetica tutta incentrata sui veicoli elettrici, con auto-immatricolazioni e stock invenduto che non trovano adeguate risposte. È chiaro che il mercato europeo deve difendersi da condizioni incomparabili, create da un sistema di sussidi di Stato che la Cina assicura alle proprie Case automobilistiche, ma inasprire i dazi significa indurre Pechino a fare ritorsioni, esacerbando i rapporti commerciali e geopolitici, con evidenti ricadute per l’intera filiera dell’automotive che con la Cina ha legami sia come cliente (per i componenti) che come fornitore.
Andranno anche valutati i fattori distorsivi interni all’Unione europea, dal momento che i tre quarti dei dazi saranno incassati dal bilancio comunitario, ma del restante quarto beneficeranno i paesi di approdo dei prodotti importati (ad esempio, l’Olanda, il Belgio, la Germania e, solo in minima parte, la stessa Italia), nonostante questi vengano distribuiti sull’intero territorio comunitario. Alla fine molti costruttori cinesi sceglieranno di pagare le tariffe per espandere la loro quota di mercato in Europa; altri sceglieranno di produrre al di fuori della Cina ed evitare così misure punitive. Più che i dazi, perciò, quel che potrebbe rafforzare l’industria automotive europea sembra un approccio bottom up che parta dal cliente e dalle sue necessità, da soddisfare attraverso una valorizzazione del ruolo della rete distributiva, un’industria attenta alla domanda, una normativa coerente con le esigenze di tutta la filiera".